Venerdì, 30 ottobre 2015 @10:06
"L’autunno è una seconda primavera, dove ogni foglia è un fiore".
(Albert Camus)
Piaceri dell’autunno: fermarsi per strada solo per raccogliere una foglia caduta. Fallo, oggi.
Fermarsi a raccogliere foglie per terra – o anche solo a guardarle, gialle e rosse e rame e cangianti – è uno dei piaceri dell’autunno. Un po’ come raccogliere frasi e frammenti di poesia, quello che faccio con i miei #spilli (questo è su Gioia in edicola questa settimana).
Foglie d’autunno: per questo sono così contenta di essere tornata nel mio autunno, dopo un mese di bellissimi ma stravolgenti viaggi per lavoro, di notti in aereo e scali, dopo una settimana che mi ha visto passare da Beirut a Dubai; e ieri, da 36 a 6 gradi in un giorno solo. Tornata dai grattacieli e dal deserto, alle foglie d’autunno. Oggi esco per guardare, raccogliere, raccogliermi.
LISA | Lunedì, 2 novembre 2015 @09:39
Ieri, Sara, sono andata in Carso a raccogliere sommaco rosso. Lo conosci? Il cespuglio che cresce sulle pietraie del Carso e d'autunno si infiamma di rosso. E' bellissimo. Piaceri d'autunno.
sara | Domenica, 1 novembre 2015 @19:48
..qui a Londra nel mio quartiere in certi angolini sono una meraviglia con gli alberi dai colori cangianti...ma attenzione a non farvi affascinare e cercare di prendere una foglia mentre cadendo fa un delizioso mulinello..altrimenti si finisce per cadere come me che mi son slogata due caviglie! meglio collezionare quelle gia'' cadute. A 37 anni suonati cerco ancora di acchiappare le foglie al volo cosi' come in primavera corro dietro alle farfalle, piaceri della vita a cui non rinuncerei e che spero di non perdere mai nella vita.
LISA | Sabato, 31 ottobre 2015 @16:10
Carla, d'accordo. Mi hai fatto venir voglia di raccontare! Presto posterò un piccolo diario di viaggio dedicato tutto a questo mese di aerei e frammenti di mondo.
LISA | Sabato, 31 ottobre 2015 @16:09
Per chi non si firma: sono giorni, questi, di malinconia, in cui pensiamo a chi non c'è più. O a chi ci ha tenuto in braccio da piccoli. O a gesti di tenerezza volati via come quelle foglie. Forse anche a questo è dolce, e struggente, pensare, per certi viali d'autunno.
Anonimo | Sabato, 31 ottobre 2015 @15:19
...io raccolgo almeno una foglia caduta, in memoria di quelle dei platani raccolte, tanti anni fa, da mia cugina - madre-non-madre per l'amata figlia-non-figlia. E scusate tanto se non mi firmo. Non ne ho voglia. Troppo il "groppo" nel cuore.
Carla | Venerdì, 30 ottobre 2015 @15:26
E visto che nel deserto non c'è l' autunno, goditi l' autunno del tuo altrove
L' autunno é una bella stagione, quasi la preferisco alla primavera. Così non mi ha stupito che Camus la paragoni a un fiore primaverile, si bisogna cogliere le foglie come nuovi fiori. E quanto a te, Lisa, presto ci racconterai di questi viaggi? Aspetto nuovi saperi ...
Giovedì, 22 ottobre 2015 @08:01
"La solitudine è come un jeans vecchio, sformato, troppo comodo. Sappiamo che ci stanno meglio altri vestiti, ma non ce lo togliamo mai perché ci fa sentire al sicuro."
(Annarita Briganti)
Il potere comfort degli abiti (e della solitudine). Però che bello quando ti compri un abito che finalmente ti dice: sei bella, esci, ama. Sii felice!
Mi piace leggere i romanzi in anteprima. Mi piace leggere i romanzi di scrittori che conosco. Mi piace quando trovo una frase da ritagliare, una frase come questa, che parla di guardaroba sentimentale, e #storiecucite negli abiti. La frase di oggi – che è anche il mio #spillo su Gioia – è tratta dal secondo libro di Annarita Briganti, "L’amore è una favola" (Cairo Editore).
claudia mdg | Lunedì, 26 ottobre 2015 @17:59
Ho la fortuna di conoscere Giusy e devo dire che la sua eleganza va ben oltre un bel vestito ben portato (c'è anche quello), ma quello che mi colpisce di più è l'eleganza della sua ironia, la leggerezza con cui sorride di sé e del mondo, rendendo lievi anche cose che lievi proprio non sono.
Giusy d'antan | Sabato, 24 ottobre 2015 @14:28
A volte mi chiedo se quella sensazione di solitudine che a volte proviamo nasconde il piacere di stare da soli con noi stessi. C'è un aforisma (?) di Oscar Wilde che non so citare con esattezza quindi, mi astengo...Per quanto riguarda un vestito nuovo, sono d'accordo a metà.:C'è la soddisfazione di portarne uno di ottima sartoria del tempo che fu e che possiamo ancora indossare senza problemi per "giro.vita-giro fianchi" C' è ancora il piacere di sentirsi bene dentro quell'abito e, infine, anche il piacere (peccaminoso) della vanità quando ti senti dire "come sempre, Lei, signora, ha un'eleganza..." Sotto i baffi che non ho, mi viene da ridere, compiaciuta al massimo!
Mercoledì, 21 ottobre 2015 @09:10
Hai mai avuto nostalgia di uno shopping center?
Io sì. Proprio così, non un negozio, ma uno shopping center, con quello strano contrasto tra una parola antica e carica di sentimento come "nostalgia"; e una parola neutra come "shopping center", banale, inglese, parola che ha dentro scale mobili e confusione e specchi nel camerino mai troppo accondiscendenti. Eppure sì, ho avuto nostalgia di uno shopping center. Per la precisione ieri, quando sono entrata nei grandi magazzini della città dove abito adesso (non quella dove sono nata, non quella dove sono cresciuta), per uno degli acquisti più banali dell’autunno: un nuovo paio di calze. (Acquisto, tra parentesi, che in genere odio fare). Forse perché pioveva, forse perché faceva freddo, forse perché le luci al neon mi fanno girare la testa, eppure al banco delle calze ho avuto un attimo di "mal di ricordi". Se si può dire così.
Ho avuto nostalgia della Rinascente di Milano, anche se non sono mai stati i miei grandi magazzini preferiti; del Coin di Cinque Giornate, dove andavo a volte a ora di pranzo, quando ancora lavoravo nelle segrete di Segrate e il Coin era un posto che mi sorrideva. Ho avuto nostalgia di quei grandi magazzini dove cresci e dove sai a memoria dove sono gli scaffali giusti, dove sai come orientarti e dove sei stata mille volte, con la mamma e con le amiche, o anche solo quando hai mezz’ora da perdere prima del cinema o di un appuntamento. Ho avuto nostalgia di negozi che sanno di te, anche se non è vero. E persino delle calze, che ho sempre odiato; persino delle calze velate di una nonna triestina che aveva fatto la guerra, e che si ostinava a regalarmele, impacchettate, per Natale, come se fossero un gioiello. Per lei lo erano, quando di calze velate non ce n’erano, c’era solo il desiderio di quelle calze. Ecco: vorrei attraversare il buio che separa il mondo dei vivi e quello dei morti, il presente e i ricordi, e dirle che adesso la capisco, e che la ringrazio, anche se quelle calze non le ho mai messe; vorrei chiederle dove le comprava, quelle calze, probabilmente in uno di quei negozi di quartiere con la commessa che ti conosce e ti chiama per nome; e ho pensato tutto questo, e a tutto quello che non torna più, in una giornata di pioggia, tenendo una busta di calze in mano.
Alessandra R. | Mercoledì, 21 ottobre 2015 @17:12
Un post da (ri)leggere con calma. Pause e respiri per i ricordi. E da accompagnarsi ad una corroborante tazza di tè,
Carla | Mercoledì, 21 ottobre 2015 @14:56
La nostalgia, le castagne matte, le calze ... É proprio autunno.
LISA | Mercoledì, 21 ottobre 2015 @11:42
Ciao Aniuska, sono contenta che tu mi abbia scritto! Forse ti ricordi anche che nel libro rosa c'è una scena in uno shopping center, il Mutanda Day con le amiche, che per me è proprio nel "vecchio" Coin. Nuova vita, nuovi shopping center; ma, come mi ha scritto una mia amica oggi leggendo il blog, "la nostalgia è la conta di quello che hai". Pensiero nostalgico ma consolatorio. Da portare in tasca nelle scale mobili.
aniuska | Mercoledì, 21 ottobre 2015 @11:29
Bello! Che roba la nostalgia... ti prende quando meno te lo aspetti. E a me oggi ha preso così, leggendo questo e ripensando anni fa, quando ogni tanto scrivevo qualche commento sul tuo blog, quello prima di questo, quello tutto rosa, cercando di capire qualcosa di me e scoprendo il potere consolatorio della scrittura. E poi come non condividere l'immagine del Coin di cinque giornate prima con la mamma e poi con le amiche... Quelle scale mobili hanno sorriso a molte, anche a me... Quindi... felice di averti ritrovata
Lunedì, 19 ottobre 2015 @09:37
"Sotto le tue dita io sono una castagna bruna.
Così respira in tasca ai bambini.
E la buccia, che punge tanto,
l’ha rotta l’amore
con colpi verdi".
(Jan Skácel)
Lo so, molte e molti di voi questi versi – di Skácel, poeta nato nel 1922 in quella che allora era ancora Cecoslovacchia, e tratti da un piccolo volume di Metauro Edizioni - li avranno già letti. Sono stati uno #spillo su Gioia nel 2013, un Buongiorno su City nel 2009, sono finiti anche nel mio terzo romanzo, "Ultimamente mi sveglio felice". Eppure. Eppure ieri, quando camminavo per il parco, per vedere le prime foglie gialle per terra, per vedere se è autunno; ieri ho raccolto una delle prime castagne matte, la buccia così lucida, così bella da tenere in mano, e me la sono infilata in tasca. E mi sono venuti subito in mente questi versi. Questo è il potere della poesia, di certa poesia: ci accompagna, rimane con noi, ritorna nella nostra vita. La infiliamo in tasca come una castagna raccolta nei viali di un parco.
Giusy | Martedì, 20 ottobre 2015 @13:05
...ha! meglio dire non commestibili!...!
Giusy | Martedì, 20 ottobre 2015 @13:03
...io raccoglievo le castagne immangiabili degli ippocastani che, a primavera inoltrata ci regalano fiori bianchi o rosacei, sui viali delle città del nostro nord., Belle, quelle castagne, grandi e lucide.
LISA | Martedì, 20 ottobre 2015 @08:39
Alessandra R.: il gesto di raccogliere una castagna, sentirla così liscia e pura, metterla in tasca. Anche questo per me è l'autunno.
LISA | Martedì, 20 ottobre 2015 @08:30
Cristiana, grazie della tua storia. Perché abbiamo tutti bisogno di storie: anch'io. (E grazie anche per la bella foto di ispirazione moda che hai messo nel blog: un soprabito grigio con le labbra di un lipstick blu, superchic. Dovrei avere il coraggio di provare!)
LISA | Martedì, 20 ottobre 2015 @08:28
Non ho mai mangiato queste delizie alle castagne! Mi hai fatto venire fame. Carla. Fame di cibo e ricordi d'infanzia.
Carla | Lunedì, 19 ottobre 2015 @20:05
Sono più prosaica di voi e la castagna mi fa venire in mente la farina di castagne. La farina di castagne mi ricordo un cibo che mi faceva sempre , di questi tempi, la mia nonna: I bollenti o meglio conosciuti come necci. Sono delle"crepes" fatte con farina di castagne, acqua e un po' di zucchero; poi l' impasto viene messo su un padellino e cucinato. Da qui il nome di bollenti, poi si mangia con un po' di ricotta. La mia nonna li faceva nelle sere autunnali e fredde invitava tutti i figli e i nipoti. Era una festa, senza festa.
Ecco cosa fa una castagna matta! Fa venire in mente lontani ricordi di bambina e la sua nonna...
Cristiana | Lunedì, 19 ottobre 2015 @11:56
Per te, Lisa che ami le storie: http://macri.tumblr.com
Mi sono trasferita a Roma nel 1986. Ho vissuto in via Panama, poi in piazza Crati e dal 1990 in via Massaciuccoli. Dalla finestra della camera e della cucina il mio sguardo ha scelto per vent'anni le finestre del palazzo di fronte che mettevano in scena la vita di una coppia di ultra sessantenni. Tutte le sere cenavano al grande tavolo del salone davanti alla televisione, seduti uno a fianco all'altra. Si alternavano nel servirsi la cena e restavano al tavolo fino a molto tardi a vedere la tv.
Con il tempo hanno cominciato prima ad appoggiarsi e poi ad addormentarsi l'uno sulla spalla dell'altra. Lui, rigorosamente in vestaglia da camera, indossava il classico berretto da notte. Era un bell'uomo alto, distinto, dalle movenze dolci ed eleganti; lei era piccolina, sgraziata nel fisico ma molto signorile, e severa nello sguardo. Li scorsi una mattina sull'autobus, nel tragitto parlarono, e risero anche; lei scese con me, mentre lui proseguiva per il mercato rionale tre fermate più avanti. Si congedarono con un bacio.
Quando mi sono trasferita a Venezia, tornai a Roma per una decina di giorni e mi accorsi che lui non c'era più. Lei era fiera e austera come sempre, cenava e si addormentava davanti alla televisione, seduta a quel tavolo.
Provai una indicibile malinconia, che fece posto a un sentimento di gratitudine per avermi fatto compagnia con la loro amorosa normalità.
Alessandra R. | Lunedì, 19 ottobre 2015 @09:50
Quando la sera esco dalla stazione e risalgo le scale del sottopassaggio, un castagno si erge lì, da anni; dona la sua ombra in estate, rendendo meno traumatico il passaggio dai sotterranei al sole cocente. In autunno è un tripudio, un tappeto di foglie e castagne. Ne raccolgo una, anche se ammaccata, e me la giro in mano e me la metto in tasca. So che questo gioco o rito autunnale durerà poco ma me lo godo ogni giorno. Fa nulla se passerà poi in secondo piano, se sarà dimenticato. Ma la certezza onnipresente che sarà rispolverato l'anno seguente, come i versi di una poesia. Ps. Sabato sera aperitivo con caldarroste... quando le castagne pungono la golosità e la soddisfano! Buon lunedì.
Venerdì, 16 ottobre 2015 @08:44
"Poi pensò che anche di una coperta di lana si può dire che è come una notte d’ottobre."
(Robert Musil)
Notti di ottobre, le prime coperte in cui avvolgersi, le prime sciarpe, le scarpe chiuse: autunno.
Il mio #spillo su Gioia di questa settimana è tratto da "L’uomo senza qualità" (Einaudi). Sto arrivando alla fine delle 800 e più pagine del primo volume, e mi piace sempre, molto. E’ accanto al mio letto e leggo qualche pagina ogni sera. Un viaggio.
LISA | Domenica, 18 ottobre 2015 @18:10
Claudia mdg, dai prova! E' un libro-viaggio, davvero: e infatti lo sto leggendo già da qualche mese, interrompendolo con altri romanzi. E' come una lunga conversazione con una persona che entra quasi a far parte della tua vita.
LISA | Domenica, 18 ottobre 2015 @18:08
Carla, io alle sciarpe non rinuncio mai, neppure d'estate: solo che d'estate sono di lino o cotone. Sono - si può dire? - una donna-sciarpa, una donna-stola, donna-scialle, ne ho sempre una in borsa. Senza mi sento nuda!
claudia mdg | Venerdì, 16 ottobre 2015 @20:03
"L'uomo senza qualità" è lì sullo scaffale che mi aspetta da tanto tempo... mi hai quasi convinta a tirarlo giù!
Carla | Venerdì, 16 ottobre 2015 @19:00
Proprio stamattina pensavo che devo tirare fuori sciarpa e cappello!!
Lunedì, 12 ottobre 2015 @11:00
Il mio lunedì ha i buchi, come la mia borsa. I buchi sono l’attesa; dai buchi si perdono idee, speranze, concentrazione, progetti. I buchi sono il mio lunedì.
(La borsa è quella di un’amica stilista, Almira Sadar: la vedete su Instagram; è grigia, di stoffa tagliata al laser, ha davvero i buchi, ma anche un manico verde neon che mi fa sorridere. Ci sono lunedì che. A volte per ricominciare basta una borsa, e una frase da scrivere a penna su un quaderno. A volte no. Perché ci sono lunedì che.)
LISA | Domenica, 18 ottobre 2015 @18:07
In effetti probabilmente funziona anche come risotto, Giusy… In ogni caso mi avete fatto venire nostalgia e l'ho cucinata l'altra sera! Buonissima.
Giusy | Venerdì, 16 ottobre 2015 @15:21
Grazie per la ricetta, Lisa! io ricordavo i limoni rimuovendo la pasta, visto che. sotto il profilo culinario, ragiono a...risotti...
Carla | Giovedì, 15 ottobre 2015 @19:21
Devo dire che piacerebbe sapere cosa sta facendo Stella, se é ancora una ragazza dalla sguardo prezzante o se è diventata un megadirettore, se l' attività di riciclo del marito sta continuando ad avere successo o no, forse Stella ha cambiato marito... Chissà, si Stella un po' mi manca
LISA | Giovedì, 15 ottobre 2015 @15:10
Mi state facendo venire la nostalgia di Stella e Glam Cheap! Chissà come se la cava, la nostra eroina. (La ricetta era pasta con limoni, scorza di limone e menta, tutto dal balcone/terrazza milanese. E una grattata di pecorino - anche l'orto cittadino era profetico!)
Giusy | Giovedì, 15 ottobre 2015 @14:42
Ma certo! l'anonima lombarda trapiantata sono io.
Anonimo | Giovedì, 15 ottobre 2015 @14:41
....mi sa tanto che Stella, quell'anello, lo porta ancora. Mitico Glam Cheap! Ha precorso i tempi...Ma ve lo ricordate il risotto alle scorze di limone e (forse, se non ricorso male) prezzemolo???
LISA | Giovedì, 15 ottobre 2015 @11:38
Riepilogo il guardaroba magico, prendo solo quello che mi piace: il mantello dell'invisibilità di Harry Potter (che pare sia derivato da antiche fiabe nordiche, "the cloak of darkness", così come le "shoes of swiftness"); le scarpette rosse del Mago di Oz e quella perduta di Cenerentola; la scopa della Befana (possiamo considerarla come accessorio?); la borsa portatutto di Mary Poppins e le tasche portatutto di Eta Beta. Mi hanno parlato anche di un sarong magico indonesiano… Uno scialle/sarong che, se lo indossi, ti permette di volare e andare (tornare, nella favola) in paradiso.
LISA | Giovedì, 15 ottobre 2015 @11:15
Carla, cha carina ad esserti ricordata dell'anello del mio Glam Cheap! Ed è vero, in fondo è un anello magico...
Carla | Mercoledì, 14 ottobre 2015 @21:36
Mi é molto piaciuto giocare con voi, e mi é venuta qualche idea da proporre in biblioteca... E poi in una favola moderna non c'è anche un gioiello fatto di materiale di riciclo, che fa ripartire la vita di una giovane Stella!
LISA | Mercoledì, 14 ottobre 2015 @15:47
Questa favola, Giusy, invece non la conoscevo. O forse non la ricordavo. Mi hai dato la scusa per cercarla: è "I cigni selvatici", che cita anche Carla: rielaborazione di Hans Christian Andersen di una vecchia fiaba dei Fratelli Grimm. La protagonista è una principessa, che deve salvare i fratelli, trasformati in cigni per sortilegio; per farlo deve raccogliere a mani nude delle ortiche e tesserle, per ricavarne delle camicie/tuniche per i fratelli. Ma verrà accusata per questo di stregoneria… Anche questi sono abiti magici: provo a interpretare? Quelli che cuciamo con il nostro amore, con le nostre attenzioni, forse, per chi amiamo.
Giusy | Mercoledì, 14 ottobre 2015 @14:51
Carla mi ha fatto tornare indietro nel tempo...ricordo abbastanza confusamente una bella giovane che, per rompere un incantesimo, intrecciava con grande sofferenza camicie (o maglioni) con i gambi delle ortiche affinché i suoi fratelli ritrovassero sembianze umane. Quanto di reale si nasconde nelle favole che abbiamo letto e poi
raccontato?
Carla | Mercoledì, 14 ottobre 2015 @14:47
É quella da cui tira fuori tantissime cose, tra cui un attaccapanni!, e i bambini la guardano sbalorditi e incuriositi.
LISA | Mercoledì, 14 ottobre 2015 @14:41
Sai che non mi ricordavo proprio la mitica borsa di Mary Poppins? Brava Carla.
Carla | Mercoledì, 14 ottobre 2015 @14:08
A me viene in mente la borsa, quella di Mary Poppins, dei maglioni fatti a mano che vengono lanciati a dei cigni che si trasformano in principi. La pelliccia di Pelle d'asino, gli stivali del gatto con gli stivali!! E ho ancora qualche idea... Il mantello della trasparenza di Harry Potter. Vanno bene come suggerimenti?
LISA | Mercoledì, 14 ottobre 2015 @10:15
A proposito di borse che hanno buchi da cui si può perdere qualcosa (magari qualcosa che non vogliamo più). Ieri parlavo con un'amica che insegna Letteratura Francese all'Università (a Ferrara tra l'altro), e che parteciperà a un convegno sugli oggetti magici in letteratura. Ci chiedevamo quali sono gli abiti magici… A parte la bacchetta magica delle fate, che forse conta come accessorio, e la scarpetta di Cenerentola, non mi è venuto in mente nulla! Forse perché non sono più una grande frequentatrice di favole. Ma l'argomento è bellissimo. Idee?
Carla | Martedì, 13 ottobre 2015 @20:22
É vero!! Però i miei errori erano intonati al tema!! ;)
LISA | Martedì, 13 ottobre 2015 @11:07
Vedo che ci sono delle parole che sono scivolate nei buchi del tuo messaggio, Carla… Scherzo! Ma è vero. Ci sono cose che possono scivolare via, dai buchi della rete. E magari sono quelle che ci servono di meno. Cose e pensieri grigi di cui facciamo volentieri a meno.
Carla | Lunedì, 12 ottobre 2015 @17:26
É vero ci sono lunedì che vorresti fossero finiti ancora prima di cominciare, perché sai che avrai una brutta giornata. Ti svegli e non sai cosa mettere, vorresti gettare tutto in buco... I buchi non hanno, in genere, una buona reputazione: tasche bucate si perdono i soldi, scarpe bucate entrano i sassi, ma dovremmo pensare, forse, a tutte le volte che diciamo per fortuna c'era un buco, pensandolo cioè come una possibilità. E
Giovedì, 8 ottobre 2015 @09:36
"Poi incontrai Linda, e il sole si levò. Non riesco a dirlo in altro modo. Si levò il sole nella mia vita. Prima soltanto come leggero bagliore di luce all’orizzonte, quasi come a dire, è da questa parte che devi guardare. Poi giunsero i primi raggi, tutto si fece più evidente, più facile, più leggero, più vivo e divenni sempre più felice, infine il sole si trovò al centro del cielo della mia vita e ardeva, ardeva, ardeva".
(Karl Ove Knausgård)
Tu mio sole, tu mia luna.
Coincidenze: lo scrittore norvegese del mio #spillo su Gioia di questa settimana (tratto da "Un uomo innamorato", Feltrinelli), è in Italia proprio oggi, per ritirare un premio a Capri. Io aspetto il terzo libro dell’autobiografica-fiume, davvero ipnotica, che esce oggi: "L'isola dell'infanzia". E sono in partenza per Oslo…
Mercoledì, 7 ottobre 2015 @08:50
Sono stata a Ferrara più o meno un anno fa, con le prime nebbie, per un incontro che mi è piaciuto moltissimo: quello con Maria Luisa Pacelli, "donna di musei". E, visto che gli articoli a volte si perdono nei cassetti delle scrivanie e dei computer delle redazioni, la mia intervista purtroppo è uscita solo da poco, su D di Repubblica. Ma l’incontro mi è piaciuto così tanto, e ho già così tanta voglia di tornare a Ferrara, che ho deciso di ricopiare l'intervista qui oggi. Andateci, a Ferrara, e mangiate dei cappellacci di zucca anche per me…
Il cuore di Ferrara, come leggerete, è in una strada rinascimentale. Quello di Trieste, batte di sicuro, per me, in piazza Unità, di fronte al mare. E quello di Lubiana, l’altra mia amata città? E’ ai Tre Ponti sul fiume: se comprate Bell’Europa di ottobre, adesso in edicola, trovate 11 pagine per scoprire la città, con le mie parole e le belle foto di un fotografo, Matteo Carassale, che ha lavorato con me.
E voi, che mi dite della vostra città? Dove batte il cuore della città che amate?
Per Maria Luisa Pacelli, Ferrara è una strada. Una strada speciale: prima di tutto perché è quella su cui si affaccia il "suo" Palazzo dei Diamanti, e poi perché è una strada-capolavoro, il cinquecentesco corso Ercole I d’Este, la via larga e antica di ciottoli su cui scivolare in bici, come in tutta la città. Ed è qui, in questa Ferrara antica e magica, che Maria Luisa, una delle pochissime donne direttrici di museo in Italia, sta progettando la rinascita estense: per una città che ha sempre creduto nell’arte, dai tempi del Rinascimento. La prima grande mostra è stata "Rosa di fuoco", nome in codice di Barcellona anarchica all’inizio del Novecento. "Ho scelto questo periodo per suggestione Expo", spiega. "Ora che il magnete è l’Expo a Milano, mi piaceva ricordare gli anni dopo una grande esposizione internazionale, quella del 1888 a Barcellona". Ed ecco allora i Picasso del periodo blu, le visioni di Gaudì, ma soprattutto le inquietudini incendiarie che percorsero la città. Perché arte è sempre cambiamento e rivoluzione… Tra poco - apre il 14 novembre - una grande esposizione sulla metafisica e le avanguardie europee: "De Chirico a Ferrara", omaggio al pittore che qui a Ferrara arrivò nel 1915. Aveva appena lasciato Parigi, e qui, militare, visse per tre anni. Poi, sorpresa, una mostra sul dimenticato Orlando Furioso (a settembre 2016). "Lo sto rileggendo, rigorosamente ad alta voce, solo così è una lettura davvero appagante; e mi sono di nuovo appassionata ad Angelica, donna-guerriera, e Bradamante", dice Maria Luisa. "Sarà una mostra sull’immaginario di Ludovico Ariosto. Il sottotitolo? Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi". Infine, nei progetti di Maria Luisa, il riallestimento del Castello, e delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, tra cui la casa-museo di Boldini, il pittore delle donne chic di inizio Novecento, il "nostro" Sargent. Ferrara che sarà tutta da scoprire e riscoprire, dunque. Partendo ovviamente da… Palazzo dei Diamanti, e corso Ercole I d’Este. "Ne avevo sentito parlare da ragazza, da un amico di mia madre: vivevamo ad Assisi, e lì loro discutevano su quale fosse la città più bella del mondo, la piazza più bella del mondo… Lui citava sempre questa. Non sapevo che il destino mi avrebbe aspettato qui", dice Maria Luisa. "Qui, in questa strada diritta che segna la città, che va dal Castello fino alla casa del boia, alle mura che delimitano e racchiudono Ferrara".
Lunedì, 5 ottobre 2015 @17:32
Per anni, quand’ero al liceo, l’autunno per me cominciava davvero il 5 ottobre, quando una mia amica compiva gli anni. Fino ad allora cercavamo di resistere ed andare in giro almeno senza calze (barando, certo, magari con i calzoni). Ora la mia amica vive in un’altra città, un altro Paese; ogni tanto le scrivo per il suo compleanno, e le chiedo se si è già messa le calze (in genere sì: vive un pochino più a Nord di me).
Così, quest’anno, è venuto il momento di abbandonare le mie Birkenstock d’argento, e passare alle scarpe chiuse. E, ahimé, le calze. Peccato per le Birkenstock, che mi fissano happy con quel loro luccichio: le mie prime Birkenstock, che avevo sempre evitato con un certo sdegno. Ma alla fine mi hanno conquistato. Come al solito, il mio approccio al mondo passa prima per le parole: e quindi quello che mi ha davvero convinto è un articolo letto per caso sul New Yorker qualche mese fa, un lungo reportage su come nascono, sui test ergonomici in fabbrica, e perché continuano a piacere, queste scarpe "brutte e comode", e perché ora hanno conquistato anche le fashioniste. Fashion? Fashion uguale silver: ho scoperto che le Birkenstock esistono anche in argento, effetto specchio. E improvvisamente ho capito che non potevo più vivere senza. Caccia alle Birkenstock effetto mirror all’inizio dell’estate, che è finita in una bottega super-vintage di Trieste, dal nome buffo, Calzature Malvestiti. Accanto a una delle mie chiese preferite, quella serba di San Spiridione. Il signor Malvestiti (così mi ha raccontato la figlia, mostrandomi la foto del padre davanti alla bottega, con un grappolo di babbucce appeso accanto alla porta, un secolo fa), cominciò facendo pantofole. Eccole nella bacheca dentro il negozio, anche commissionate per il teatro; scarpe fatte su misura, quando ancora si usava. Quando ancora Trieste era La Grande Trieste. Ed eccole qui, le mie Birkenstock, che mi aspettavano, proprio della misura che volevo io, di un bell’argento effetto specchio. Le ho indossate tutta l’estate, perfette per uno dei miei Instagram account preferiti, #ihavethisthingwithfloors (poi, certo, dovremmo parlare di questa mania contagiosa di tutti di fotografarsi i piedi e postare le foto, ma questo non è il luogo). L’importante è che fossero effetto mirror, come un articolo che ho scritto quest’estate per Elle Decor, come l’Ombrière di Norman Foster che ho visto a fine giugno a Marsiglia, un tetto brillante a specchio nel Vieux Port, dove i marsigliesi si danno appuntamento, che ha l’unico scopo di proteggere dal sole… E di farti alzare lo sguardo (e far scattare una foto). Amo questi giochi dell’architettura e del design, sono momenti di leggerezza e di felicità nelle città.
E adesso? Adesso, per rendere più dolce la transizione, ecco delle altre scarpe-pantofola: le Virreine. Morbidissime, scamosciate, le ho comprate in una bottega a Venezia (a Milano le trovate da Chicchi Ginepri) e sono già il mio secondo paio. Ma vengono dalla Spagna... Le ho già verde bosco (le vedete su Instagram), come certi boschi d’autunno; ora le ho scelte di un blu copiativo. Decisione difficile: ero a Venezia per un’intervista, e sono passata davanti alla bottega, che si chiama Linda ed è accanto a Campo Santo Stefano: la ragazza e proprietaria si ricordava di me e mi ha detto che ha letto il mio ultimo romanzo… Forse per questo mi sono sentita libera di tormentarla sul colore (l’alternativa era un superchic testa di moro, ma ho pensato che d’autunno abbiamo bisogno di colori).
E adesso? Adesso comincia la caccia a qualcos’altro di silver: vorrei un paio di scarpe chiuse, ma di nuovo dall’effetto mirror. Ho capito che le scarpe in argento oppure oro sono le migliori, vanno con tutto, e brillano, effetto Cenerentola metropolitana.
Quanto alle calze, bè, questo è un argomento difficile, perché io i collant li odio. Per oggi mi concentro sulle morbide pantofoline da città.
LISA | Mercoledì, 7 ottobre 2015 @08:48
Elena, ben arrivata! E buona scrittura. Che bello che delle pagine su delle amiche perdute ti abbiano portata fin qui. I quattro libri della Ferrante sono meravigliosi. Quale sarà il titolo delle tua tesi, su cosa ti concentri? Mi fa piacere se racconti...
Elena | Mercoledì, 7 ottobre 2015 @00:24
Sono capitata qui per caso, sto scrivendo la mia tesi di triennale su Elena Ferrante e tra gli innumerevoli link di Google sono capitata qui. Tra le righe che scrive mi sono sentita subito a casa, ho salvato il sito tra i preferiti.
Elena.
LISA | Martedì, 6 ottobre 2015 @18:17
Le calze che più odiavo erano quelle sottilissime, dai 15 ai 20 denari, che si rompevano subito e che mi pizzicavano. Eppure mia nonna - una delle mie nonne - me le regalava sempre; calze "da signorina", un lusso per lei che aveva fatto la guerra. Poi per fortuna sono arrivati i collant morbidi e coprenti, e i leggings. Niente di chic. Ma così comodi...
VIRREINA -STUDIO SPADA | Martedì, 6 ottobre 2015 @11:40
MA CHE ARTICOLO CARINO !!!!!
LA RINGRAZIO MOLTO
HENNY SPADA
Alessandra R. | Martedì, 6 ottobre 2015 @09:37
Birkenstock e ballet shoes. Tanto odiate (in superficie) ma amate (sotto sotto). Io non mi nascondo e le metto. Le prime: ho investito per un paio da casa (e alla domanda della mami: fa freddo, non hai le ciabatte chiuse?! ehm a casa mia il cambio stagionale comporta anche il change della ciabatta ahahahah), plain, no glitter o senza pelo e senza fronzoli ma di una comodità incredibile (io le chiamo correttive, perchè sin da piccola ho la tendenza a "rannicchiare" il piede verso l'interno e queste mi aggiustano un pò). E poi va beh, le ballerine, tanto scomode ma mi ricordano l'infanzia e ne faccio incetta. Io giro ancora con le scarpe da barca, senza calze. Quanto ai collant brrrrrrr capisco il raccapricciante fastidio. Quelle di pizzo, bianche, iperlavorate, anche quelle mi ricordano l'infanzia, ma da quelle ho sviluppato un'avversione incredibile. Oggi però sulla città pioviggina e passare allo stivaletto è un attimo. Benvenuto autunno!
Venerdì, 2 ottobre 2015 @07:00
"All’inizio è la forma delle cose che ce le fa desiderare, vale per un quadro di Piero della Francesca come per il vestito che indossiamo, per il compagno che scegliamo. Adesso prendete una matita… Disegnate, senza pensarci troppo, la forma di un desiderio qualsiasi. La fame, la sete, un bacio, una mano che sfiora, quello che volete… Sono sicuro che saranno segni differenti, infinite geometrie".
(Elisabetta Bucciarelli)
L’unica cosa che vorrei disegnare è una freccia che mi porti fino a te.
Mi piacciono (anche) i romanzi "contemporanei", quelli che raccontano il mondo in cui camminiamo ogni giorno. Mi piacciono i romanzi in cui i protagonisti giocano col cellulare, si struggono per un "like" o un whatsapp che non arriva; in cui cercano di districarsi nei troppi grovigli di una vita che è molto più digitale e accelerata di quel che vorremmo. Romanzi contemporanei: anche se poi, forse, vogliamo parlare sempre d’amore… Elisabetta Bucciarelli ci prova con "La resistenza del maschio": pubblicato da NN Editore, la piccola casa editrice milanese fondata quest’anno, che mi ha sorpreso con il molto bello "Sembrava una felicità" di Jenny Offill (ricordate gli #spilli che avevo sfilato al libro-diario e l’intervista? http://www.lisacorva.com/it/view/1522/ ).
Ma torniamo a "La resistenza del maschio". Che cosa mi è piaciuto di questo racconto tutto italiano? Il titolo, innanzitutto. Titolo enigmatico come il protagonista, intorno al quale si muovono tre donne. Un uomo che resiste: resiste ai desideri della moglie (che vuole un figlio, e lui assolutamente, caparbiamente si rifiuta); un uomo che resiste forse anche ai suoi desideri, ai lacci del destino. Un uomo testardo: meglio non averci a che fare. Ma capitano… E ci si innamora. Mi è piaciuta la scenetta di seduzione al supermarket con un’app acchiappa-incontri; Happn, sulla scia di Tinder, e chissà se l’autrice l’ha provata in prima persona (traduzione: un’application sugli smartphone che rende possibile incontrare al volo degli sconosciuti). Mi è piaciuto il riferimento a Mollino, architetto e designer cult del secolo scorso che ho scoperto per la prima volta un anno fa a Torino, visitando la sua misteriosa casa-museo… E soprattutto mi è piaciuta la frase che è diventata lo #spillo della settimana su Gioia.
LISA | Sabato, 3 ottobre 2015 @15:38
Devo dire che il protagonista di "Amori e disamori di Nathaniel P." (il libro Einaudi che mi ha molto divertito qualche mese fa) è ancora più sfacciato nella sua "resistenza" (o forse solo più giovane, o forse le storie ambientate a Manhattan ci intrigano sempre di più). Comunque non sono male i libri che provano a entrare nella testa di un uomo. Per ora il mio preferito rimane, anzi rimangono perché sono due, tra poco tre, i libri fiume e autobiografici di Karl Ove Knausgård, tutti Feltrinelli. Ipnotici. Si sente che a mettersi a nudo - in maniera quasi imbarazzante - è un uomo, in prima persona...
Alessandra R. | Venerdì, 2 ottobre 2015 @10:44
Insomma, un altro ometto (?) sulla scia di quello di Adelle Waldman, in Amori e disamori di Nathaniel P.
Io Tinder non l'ho mai usata ma a proposito di app sto leggendo un libro (The Underwriting, di Michelle Miller) che è un thriller (sulla scia dell'entusiasmo della Ragazza del treno) e sullo sfondo la Silicon Valley e Wall Street, animate da (quasi) trentenni, tra l'arrampicatore, l'attivista, la donna alfa, il playboy e dove si consuma una morte dai risvolti poi inquietanti... e il motore/la causa pare proprio essere un'applicazione di incontri e i suoi fondatori... reading in progress... intanto mi lascio coccolare, mentre consumo il mio chai tea latte, da una freccia, che da qui vorrei lanciare e che mi portasse nel mio altrove preferiterrimo. Buon weekend Lisa.